Di ‘giganti’ e via dicendo…

Ghigantes plaki

Non a tutti è dato sapere come distinguere un particolare tipo di fagiolo, da tutta la variegata comunità di fagioli esistenti in natura o in un supermercato. Ecco perché se un marito disponibile a fare la spesa su commissione dovesse, per errore o manie di grandezza, riportare a casa dei ‘giganti’ non insultatelo. Piuttosto, cucinate greco.

E’ esattamente quello che ho fatto io, nel giorno in cui ho ritrovato nel sacchetto della spesa dei fagioli bianchi, non del tutto ordinari come i cannellini che avevo commissionato.

Molti li chiamano fagioli ‘spagnoli’ probabilmente perché lo saranno sul serio: e cioè spagnoli. Ma io preferisco chiamarli ‘ghigantes’ perché è così che mi faccio intendere quando sono in Grecia e ne ordino una porzione. 

Come è evidente, in questo caso, la Spagna non c’entra nulla.

E anzi per ribadire a se stessi il concetto del ritrovarsi in Grecia, e non in un posto qualunque del Mediterraneo, sarebbe il caso di chiamarli meglio: “Ghigantes plaki, parakalò!”

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Solo in questo caso, ciò che si può attendere è un mezé: un antipasto caldo con intingolo denso e speziato e, ovviamente, a base di fagioli.

La verità è che se devo mangiare greco in genere preferisco trovarmi in Grecia, per tutta una suggestione aggiunta e di contesto circostante in cui aggirarmi. Ma è pur vero che se per errore, o manie di grandezza, un marito dovesse riportare a casa dei ‘giganti’ invece dei soliti cannellini, si potrebbe pensare che è arrivato il momento di cucinare. E non spagnolo, ma addirittura greco.

Come è successo a me che dopo l’ammollo di una notte, non ho esitato neanche un po’. Ho trovato la ricetta a pagina sedici di uno di quei libri ‘vecchia maniera’ in cui le foto sono così realistiche da sembrare quasi brutte. Anche se, non lo sono affatto.

C’è un principio di realtà che alcune fotografie hanno, più di altre, e che semplicemente risiede nel tipo di comunicazione che si vuole intraprendere. Me ne accorgo ogni volta che interrogo un’immagine: “Tu, cosa mi stai dicendo?”

E quella infatti, a seconda dei casi e dell’occhio che l’ha generata, più o meno risponde e qualcosa dice sempre, anche quando non ha nulla da dire.

Quando la finalità di uno scatto è quella di acciuffare un’immagine viva, più che di costruire a tavolino una natura morta, c’è qualcosa che mi avvince di più e che richiama la mia attenzione di spettatore con una certa ostinazione. Se invece nulla di tutto questo succede, mi chiedo perché. E trovo la risposta sempre nei particolari che non mi catturano, messi qua e là troppo intenzionalmente. 

Forse una questione di ‘stile’, come dicono alcuni in italiano, forse di ‘mood’ come dicono altri in inglese.

Ma a tutto questo io preferisco sempre un principio di realtà, unico e inequivocabile, da cui partire per dire la propria e prendere le distanze da tutto il ‘mood’ che ci circonda e che è sempre in agguato là fuori.  Che sia uno ‘stile’ pure questo?

Ricetta Ghigantes Plaki

Ghigantes plaki

Ingredienti:

  • ½ kg di fagioli giganti;
  • 1 bicchiere piccolo di olio evo
  • 2 cipolle grandi
  • una costa di sedano
  • 3-4 spicchi di aglio
  • 400 gr di pelati
  • 1 peperone verde (che io ho omesso perché fuori stagione)
  • ½ tazza di prezzemolo tritato
  • 2-3 foglie di alloro
  • 1 peperoncino
  • sale e pepe qb.

Procedimento

  • Lasciare in ammollo i fagioli tutta la notte in acqua abbondante e 1 cucchiaino di bicarbonato.
  • Scolarli e farli bollire fino a cottura.
  • Scolarli nuovamente e mettere da parte.
  • In una cocotte in ghisa o di terracotta, far soffriggere la cipolla e l’aglio con l’olio.
  • Aggiungere il pomodoro, il prezzemolo, il sedano, il peperoncino e lasciar cuocere per alcuni minuti.
  • A questo punto aggiungere i fagioli, salare e pepare quanto basta e coprire con un coperchio.
  • Cuocere a temperatura media in forno per 30 minuti.
  • Se necessario aggiungere un po’ d’acqua, per far ammorbidire i fagioli o per far rimanere un po’ di salsa.
  • Servire sia caldi sia freddi.

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4 thoughts on “Di ‘giganti’ e via dicendo…

  • Definirsi e definire è sempre un’operazione difficile e rischiosa. E la fotografia richiede entrambe le sfaccettature di questa operazione. Richiede impegno, dedizione, soprattutto voglia di raccontarsi ed esporsi. Voglia di farsi vedere, attraverso o con il cibo, in un modo che non sempre però può rispettare il principio (sacrosanto) di realtà/lealtà che tu enunci. Se nell’istante del click chi scatta riesce a esternare i propri “vorrei”, a rivelare il proprio “alterego” è dunque meno veritiero di chi rispecchia fedelmente la sua quotidianità e il suo vissuto?
    L’unica cosa vera, quindi certa, sulla quale sposo appieno il tuo pensiero è che non esistono immagini mute, fotografie senza racconti e bisogna avere una bella testa per saper leggere laddove sembra ci sia nulla da raccontare. Per questo ti ringrazio. Per lo spunto come sempre stimolante, di riflessione.

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