‘Parossismo del Parrozzismo’

Parrozzo abruzzese[Post in collaborazione con @giovelab – www.giovelab.it – shop on line

Come ogni anno faccio le mie richieste a Babbo Natale. So che Lui potrebbe ignorarle da quando ho superato l’età dell’innocenza, ma con il giusto accoramento e un po’ di educazione, in genere, addirittura mi accontenta.

Un albero di Natale, ad esempio è stata la prima richiesta

Come tutti gli anni anche quest’anno con il contributo dell’architetto di famiglia, che è anche il nostro caro amico Paolo, mio marito ha eretto in posizione sopraelevata, antigatto, anticane e quindi antisisma, il nostro albero addirittura su un’anfora, all’ingresso di casa perché tutti lo ‘scorgessero’ lassù. Una prospettiva niente male per chi ama guardare le cose dal basso verso l’alto, a meno che uno non soffra di complessi di altezza o semplicemente di un’artrosi cervicale, come la mia, da non poter più issare lo sguardo sulla sommità delle cose, fosse anche per contare il numero di palle appese ad un albero di Natale.

Così mi sono messa alla ricerca di un albero: un albero di Natale credibile e soprattutto a misura d’uomo con aghi di pino così verosimilmente veri da sembrare proprio veri.

Ne ho trovato uno così, a casa di Carla e Luigi in occasione del ‘Natalino’ con cui anticipiamo i festeggiamenti in compagnia degli amici più cari.

L’ho studiato da vicino e desiderato così tanto con quegli aghi lì, che dopo qualche giorno ne è arrivato uno identico anche a casa mia.

Lanciano

parrozzo

coppia

La mia prima richiesta dunque è stata esaudita, ma poi ne è arrivata un’altra che non era proprio rivolta a Babbo Natale, anche se ho la sensazione che anche questa volta se ne sia occupato lui.

“Scusi, lei ha la fava tonka?” – La seconda richiesta

Come si dice “se è lecito domandare, rispondere è cortesia”. Eppure a Roma quand’anche un uomo sia un droghiere, a questa domanda chissà perché non risponde mai. Ho capito negli anni a furia di fare certe domande in giro, che la colpa non è tanto nel destinatario di turno quanto piuttosto della ‘poliedrica’ e ‘equivocabile’ parola ‘fava’.

Veramente una volta da Castroni in Via Catania un commesso tanto ‘cortese’ provò a darmi una risposta, che però risultò imbarazzante più della domanda: “… mi dispiace, signò, noi c’avemo ‘solo’ la ‘fava secca’”. E ci fu silenzio… 

E’ stato quello il momento in cui mi sono decisa una volta per tutte a cercare la fava tonka per telefono, risparmiando imbarazzo assicurato per tutti.

“Chi non vorrà rispondermi, riattaccherà il ricevitore” – ho pensato. E infatti è stato proprio quello che è successo ogni volta, meno una: che è stata la stessa in cui chi mi ha risposto ha addirittura capito di cosa stessi parlando.

Di bacche, per l’appunto, ne ho ordinate una mezza dozzina e quando ho visto che a recapitarmele era un fattorino vestito da Babbo Natale, non ho avuto dubbi sul fatto che anche questa richiesta fosse stata accolta da Lui in persona.

‘Il parossismo del parrozzismo’

Con tutta quella ‘fava tonka’ a disposizione mi sono data anima e corpo nella moltiplicazione di parrozzi abruzzesi. E non perché la fava tonka sia un ingrediente ‘abruzzese’, anzi, ma perché sostituisce benissimo la presenza delle sette mandorle amare. E dico ‘sette’ e non una di più, non una di meno. Sette, e in numero di sette, a meno che uno non si veda recapitare a casa direttamente da Babbo Natale anche solo ‘una’ bacca di fava tonka e allora al diavolo l’apologia del sette e tutto l’amaro delle mandorle amare che la ricetta del parrozzo richiede per amore di tradizione.

E io per amore di quella tradizione lì, che mi vuole abruzzese tanto quanto il Parrozzo, mi sono data da fare con una certa dedizione dando vita, proprio nella mia cucina, a quel fenomeno che qualche giorno addietro abbiamo preso a chiamare ‘il parossismo del parrozzismo’.

E in effetti nei giorni successivi ho distribuito cupole di cioccolato un po’ ovunque dentro casa, chiudendomi alle spalle la porta di ogni camera per evitare che il gatto festeggiasse il Natale prima di noi tutti.

E cioè prima di tornare in Abruzzo.

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Natale in Abruzzo. La terza richiesta.

Ci sono cose in Abruzzo che capitano per lo più a Natale, ecco perché la mattina del venticinque salgo in macchina con qualche parrozzo di troppo e parto. Già in viaggio pregusto la scena di mio padre addestrato ad accogliere ospiti sulla porta di casa, distribuendo babbucce per la comodità di tutti i commensali presenti al pranzo.

Anche mia madre in genere è in gran forma e ci tiene che tutti le facciano i complimenti per il grembiulino civettuolo da cucina, rigorosamente abbinato al grande albero di Natale country vicino al pianoforte.

In genere quando entro in casa mi assale sempre la stessa sensazione, che c’è ad ogni Natale, e che è quella di non riconoscerla mai, la casa: ché per apparecchiare e ‘addobbare’ la tavola di Natale ci sono mobili che trovano nuova dislocazione addirittura in terrazzo o nella mia ex camera. Ma si tratta di cambiamenti temporanei assicura ogni anno mia madre: “E’ solo per avere più spazio!”

Quando finalmente ci sediamo a tavola so già che sopravviverà di noi solo chi è abruzzese di nascita e cioè tutti meno mio marito che negli anni ha imparato a digerire ‘giusto’ il timballo di scrippelle, senza riuscire a spingersi oltre la portata successiva.

Mia madre prova a convincerlo della sua ‘leggerezza’ ché, nonostante i quindici strati di scrippelle, il numero non definito di polpettine di carne, piselli, ragù e kili e kili di mozzarella di Tornareccio a legare il tutto “… è fatto solo di ‘crepes’”” – gli dice in ‘italiano’, ignorando sia francese.

Anche io negli anni ho perso una certa ‘disinvoltura’ nella mia tabella di marcia: e infatti quando arrivano i ‘secondi’ che sono la ‘lessata’ di carni miste con sottaceti vari e tacchino alla canzanese, alla fine mi limito sempre alla terza variante delle costatine di agnello panate e fritte, servite più che altro “per invogliare a mangiare la carne soprattutto i ‘bardasch’ (e cioè i bambini) e i vegetariani”. Ecco, proprio tutti e nessuno escluso.

Quando arriva il momento dei dolci con cui tirare avanti fino alla merenda, che in genere finisce quando comincia la cena, arrivano anche i miei parrozzi. Nessuno si accorge che la fava tonka ha sostituito egregiamente l’amarezza delle sette mandorle amare, in numero di sette. La verità è che sono tutti concentrati a degustare il grado perfetto di umidità della prima fetta, che è un requisito fondamentale se non si vuole rischiare di rimanere strozzati dalla ‘friabilità’ che generalmente contraddistingue i parrozzi industriali.

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[Piatto in porcellana www.giovelab.it – shop on line]

Quest’anno la prova dell’assaggio non ha svelato, veramente, neanche la sostituzione delle mandorle con le noci, né tantomeno quella dell’Aurum con il Cointreau per quell’aroma d’arancio che si sposa benissimo con il fondente della cupola.

Quando ci rimettiamo in viaggio mio marito e io, lasciando tutti ancora seduti a tavola, lui ‘legittimamente’ mi chiede cosa ci faremo con tutti gli altri parrozzi lasciati a casa e messi sotto chiave in posizione antigatto e anticane come il nostro primo albero, inerpicato addirittura su un’anfora, proprio all’ingresso di casa.

“Ci faremo tutte le vacanze di Natale fino a Capodanno e alla Befana” lo rassicuro io. Ché il parrozzo è un dolce da dispensa come il panettone, solo che è un ‘panettone abruzzese’ o, meglio, è quello che gli abruzzesi considerano il loro ‘panettone’.

Se uno non è abruzzese queste cose non le sa, ma se per pura fatalità sposa un’abruzzese, il Parrozzo è d’uopo. E’ una specie di fenomeno naturale: si potrebbe addirittura chiamare ‘parossismo del Parrozzismo’, ma soprattutto è l’unica richiesta, che solo in questo caso, si può evitare di inoltrare a Babbo Natale.

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Ricetta del Parrozzo abruzzese e le ‘mie’ varianti

Ingredienti per la glassa:

  • 100 gr di cioccolato fondente;
  • 50 gr di burro.

Ingredienti per uno stampo da 20 cm di diametro:

  • 200 gr di zucchero semolato (io di canna);
  • 3 cucchiai di olio d’oliva;
  • 150 g di mandorle dolci macinate con la buccia (io, 150 gr di noci);
  • 150 g miscela di farina di semola + farina 00 ( io 130 gr di semola e 20 di farina 00);
  • 7 mandorle amare (in alternativa 1 spolverata di fava tonka)
  • 6 uova;
  • scorza grattugiata di arancia,
  • 1 cucchiaio di Aurum o Cointreau.

Procedimento:

  • in una terrina montare i tuorli con lo zucchero e la buccia grattugiata di un arancio, fino ad avere un composto spumoso
  • unire le mandorle/noci tritate e, in seguito, la miscela di farine, per ultimo unire l’olio e il liquore.
  • Montare gli albumi a neve e aggiungerli delicatamente al composto
  • versarlo nella tortiera (uno stampo da zuccotto semisferico di 20 cm circa) imburrata e infarinata
  • infornare a 160-170°C per 40-45 minuti, facendo la prova dello stecchino per verificarne la cottura, ma non prima del tempo richiesto poiché il composto, se si apre il forno prima del tempo, tende a sgonfiarsi. 
  • A cottura ultimata, estrarre il dolce dalla tortiera e lasciarlo raffreddare completamente.
  • Tritare il cioccolato fondente e farlo sciogliere a bagnomaria; aggiungere il burro e mescolare finché il composto non risulterà liscio e omogeneo.
  • Versarlo sul parrozzo e stenderlo uniformemente sul dolce con una spatola.

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14 thoughts on “‘Parossismo del Parrozzismo’

  • meraviglia, le stelline con la buccia d’arancia e voi…e quei parrozzi che parlano di una casa in cui la magia, Babbo Natale, gli ingredienti apocrifi e chiunque vi metta piede diventano all’istante qualcosa di migliore.

    • Vale, casa è piena di quelle stelline lì e anche di parrozzi, mancate solo tu e ‘patata’ 🙂 La voglia di passare del tempo insieme è così forte che in questi giorni potremmo presentarci alla tua porta e ovviamente non senza parrozzo al seguito!;-)

    • Mimma bella a chi lo dici!!!E per continuare la nostra discussione su fb ti dico che ‘purtroppo’ non esistono prove fotografiche del primo albero costruito con tutti i criteri antisismici del caso… tuttavia abbiamo tenuto in piedi un presepe che il nostro amico architetto ha definito ‘abusivo’ e contrario al vincolo paesaggistico della nostra credenza! 😀 Di quest’ultimo esiste foto sul profilo del marito che malgrado tutto ne va orgogliosissimo!:-D Già ti sento ridere!Quanto a noi sogno di prendere al più presto un aereo per Palermo!Ti abbracciamo!

  • Ero “tua” già dalla prima finestra, dal primo balcone, dalla prima persiana e crepa e gesso sgretolato. Tua con memorie che salgono come gatti sopra l’albero che non ha trovato la giusta collocazione divetando così il perfetto parco giochi. Rapita completamente dal profumo della tonka che se solo sapessero, dirrebbero loro stessi di non aver capito una beneamata fava a non tenerne buona scorta sugli scaffali. Poi noci, cointreau, cioccolato e mi sono persa. Mi sono persa nel mondo fatato dei parrozzi, tondi e perfetti, che ci volevi proprio tu per venire a conoscenza di cotanta meraviglia. E sì che, devo pure averlo mangiato, ma chissà perché il nome mi pare così nuovo e profumato di buono. È bello trovarti, è bello ritrovare qualcosa che misteriosamente m’appartiene tra i tuoi scatti, che appartiene alla gloriosa Petite Paris che un tempo fu la mia bellissima Craiova. È bello mordere i tuoi post e sfamarmi, come se fino a questo momento fossi rimasta a digiuno nel mese più mangereccio dell’anno. Auguri, con tutto il cuore!

    • Guarda Rebecka cara il tuo commento mi da la bella sensazione, e anzi la certezza, di averti veramente presentato parte di quel mondo purtroppo ‘lontano’ e anche molto ‘intimo’ che mi appartiene da sempre. La maggior parte dei palazzi e delle case del mio Abruzzo di ‘mare’ hanno la caratteristica di quel mattoncino lì, tipico delle case dei ferrovieri. Il parrozzo abita quelle case da sempre soprattutto nel periodo delle feste ecco perché è fondamentale per me averne una scorta anche a Roma, a dispetto dell’incredulità di mio marito 😀 Ti abbraccio forte e ti mando i miei più affettuosi auguri!:-)

  • Laura, ma come sono belle le tue foto? Sempre di più, sono inconfondibili. E anche quello che scrivi e come lo scrivi 🙂
    Prima o poi, dopo i fiadoni, ti ruberò anche il parrozzo, che è bellissimo. Ma fammi capire: è davvero senza lievito? Mi hai fatto venire una voglia che non ti dico.
    Ti abbraccio forte e di mando i miei più cari auguri per un felice 2018, in attesa di rivederti.

    • Alice bella la tua dedizione per i dolci della mia terra è commovente, credimi!Certo il parrozzo è assolutamente senza lievito: è aiutato nella lievitazione dallo stampo a cupola, ma soprattutto dalla forza di ben sei uova 😀 che peraltro montate separatamente fanno il loro giusto lavoro. I dolci abruzzesi hanno quasi tutti l’inconfondibile caratteristica della generosa quantità delle uova: ferratelle, fiadoni dolci e salati, bocconotti e parrozzi. In quasi tutti oltre alla mancanza di lievito un’altra caratteristica distintiva è la presenza dell’olio in sostituzione del burro. Sono certa che dopo aver sperimentato fiadoni e ferratelle il tuo prossimo esperimento sarà sicuramente un buon parrozzo!;-) Sono felice per quello che dici delle foto e di tutto il resto, in realtà la mia più grande aspirazione in questi anni di bloggerismo è sempre stata quella di proporre una copia conforme di quello che sono o che almeno io penso di essere e se a farmi i complimenti è una persona come te che mi conosce i complimenti sono ancora più graditi!Ti abbraccio e un augurio speciale per queste feste!:-)

  • Io arrivo un po’ in ritardo, a feste finite, ma spero mi perdonerai.Evviva il Natale e evviva i parrozzi! Io nonostante abbia finito la maratona di pranzi e cene giusto ieri, e nonstante mi sia ripromessa di mettermi a dieta da domani, una bella fetta di parrozzo me la farei volentieri. Con quella copertura di cioccolata…. 😛 che poi è perfetta, io non riuscirei a farla così bene. Facciamo così, il prossimo anno te le ordino una e me la spedisci!

    • Non posso perdonarti perché in realtà non c’è niente da perdonare cara mia 🙂 Ad ogni modo anche se a feste finite, so che presto ne mangerai uno!;-) In realtà quella copertura di cioccolata mi ha dato da tribolare perché le spatolate non dovrebbero vedersi, ma insomma almeno in un altra vita, quando mi ritroverò a fare altro e magari a cucinare per vivere, forse imparerò a replicare colature perfette. A presto Francy cara!

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