Il breve passo da “mucche pazze” a “tordi matti”

tordi matti di Zagarolo

Nel Millenovecentottantasei, in Abruzzo, ero più che altro impegnata nella conoscenza del presente e del circostante attorno a me: la scoperta della scuola media, del famigerato Professor Fiorentino, dello studio del francese, ma anche di Dylan Dog, dei Queen, di Vic Berreton e dei miei undici anni di età.

Cosa facesse il resto del mondo non era proprio di mia pertinenza, a parte quello che stava succedendo in tutto il Regno Unito.

Perché proprio in quell’anno lì, il Regno Unito scopriva addirittura la “mucca pazza”: una malattia che non solo distruggeva il cervello delle mucche ma che, per ‘transitività’, avrebbe potuto colpire anche l’uomo. 

E in effetti di questa catastrofe annunciata per tutto il genere umano, onnivoro soprattutto, si parlava non solo in tutto il mondo, ma anche nell’angolo più remoto dell’entroterra abruzzese. E infatti anche a Casoli non si parlava d’altro.

Dapprima ne parlò soltanto la televisione e poi cominciarono a parlarne tutte le persone in strada, quelle al telefono nel caso di un’interurbana, altrimenti direttamente dalla finestra. 

La notizia cominciò a rimbalzare di bocca in bocca, entrando di casa in casa fino ad arrivare alla mia.

Si salvi chi può, come può…

Così per scongiurare l’inevitabile, in famiglia si corse ai ripari: e noi che eravamo già abituati a praticare il sacrificio di ogni bene ‘effimero’, per temprarci dalla tentazione dello spirito, ripudiammo anche quella della carne semplicemente diventando ‘vegetariani’.

Quello che ricordo di quegli anni è che ci dedicammo molto e in modo ardito ai fagioli, perché noi in famiglia siamo così: votati a rimediare tanto, anche con poco. 

La contestazione ‘alimentare’ fortunatamente arrivò presto, insieme a quella adolescenziale mia e di mio fratello: lui soprattutto cominciò a puntare i piedi per uscire di più e fare tardi la sera; io, più diplomatica sempre, iniziai col rifiutare la solita minestra. 

La verità è che le mie più grandi insurrezioni sono sempre partite dal basso, indirizzate alla conquista della normalità più insospettabile e a scapito di qualunque ‘estremismo’ di tendenza.

Così eccomi a diciott’anni a barattare una festa di compleanno, per una fettina di carne, nient’altro che una personale questione di priorità. Eppure l’effetto sorpresa fu tale che nessuno fu pronto ad accogliere una ‘simile’ richiesta: così a mio fratello fu concesso di essere finalmente libero, a me furono posti tutti i vincoli e le condizioni del caso a partire dal fatto che la carne in questione fosse ‘almeno’ quella di cavallo.  E questo fu il sapore ‘dolciastro’ del mio primo moto d’indipendenza dalla mia famiglia in particolare e soprattutto da tutto il mondo bovino in generale.

Perché una delle caratteristiche per cui la carne di cavallo può piacere o non piacere affatto, è proprio il retrogusto ‘dolce’ che non ci si aspetta di incontrare e che può essere contrastato tuttavia in vario modo, ad esempio grazie al lardo. 

“Tordi matti”

“Ma per ‘tordi’ si intende quelli che volano?”

E Alessia ridacchiando me lo ha confermato, mentre sfumava gli involtini con del vino bianco. Della cucina di Alessia potrei parlare per ore: in genere chi arriva a casa sua trova chips di verdura e taglieri pieni di tartine di ogni genere. 

A tutto questo, ha sempre seguito una zuppa col segreto gustoso della soia nel soffritto e poi se si è sicuri che gli ospiti mangeranno carne di cavallo, ci sono i tordi matti. 

“Ma cosa c’entrano i tordi, con i cavalli?”

La verità è che i tordi non sono tordi veri e propri, ma involtini di carne di cavallo. E questa è l’unica ragione per cui i tordi siano diventati ‘matti’ per davvero. 

Si tratta di una specialità della cucina del Lazio, custodita dalla cura di una macelleria di Zagarolo. La proprietaria della macelleria equina, Pacifici, la sorridente moglie del Signor Pietro, mi ha raccontato un giorno che, in concorrenza con i cacciatori che cucinavano proprio davanti al suo negozio e sotto il suo naso, cominciò a insaporire la carne di cavallo con spezie locali e lardo morbido seguendo la falsariga del sapore della cacciagione, col risultato di ‘re-inventare’ dei simil tordi, con una ricetta molto simile all’originale, che risale addirittura al XVI secolo. 

Di tordi matti ho svaligiato la macelleria Pacifici in un giorno di grande riluttanza per il nostro rientro in città, sperando che il cavallo ‘mi rimettesse al mondo’ come assicurava mia nonna prima di servirmi una fetta di carne dai bordi più larghi di quelli del piatto.

Quanto a me, ogni tanto penso a questo: fuggire a cavallo dalla ‘pazzia’ di una mucca anni ‘80 non è che mi abbia preservato dalla follia del genere umano.  All’epoca, infatti, ci fu tanto allarmismo per nulla se penso al modo in cui una città come Roma sia impazzita lo stesso, pur non essendo una mucca né tanto meno inglese. 

Una frenesia tossica e un traffico urlante non permettono di rimanere lucidi nel corso di un’intera giornata e sicuramente i romani sono già impazziti tutti da lungo tempo, ma col vantaggio di non saperlo, perché qui nessuno ne parla come invece al tempo si parlò a lungo e ovunque della povera mucca anglosassone.  

Qualcuno dovrebbe dirlo a viva voce che così non si può più andare avanti, che è ‘follia’ questo vivere uno sull’altro : ma chi lo fa ultimamente sono solo i soliti ‘matti’ del primo vagone della metro B, che nessuno ascolta e da cui tutti scappano come fossero contagiosi, ‘mucche pazze’ pure loro. 

E di tante storie di ordinaria follia, in mezzo a cui è diventato normale vivere e tirare avanti, quello che ho capito è che ognuno si salva come può, quanto a me io, se posso, continuo a preferire il sapore inaspettato delle cose, malgrado non si tratti della solita e rassicurante minestra di sempre. 

Roma

tordi matti

San Bocuccio da Lando

Autunno

involtini di cavallo

tordi matti

Ricetta dei tordi matti

Ingredienti (per 4persone): 

  • 16 fettine di carne di cavallo 
  • miscela di sale, peperoncino e coriandolo in grani frantumato, qb
  • battuto con grasso del prosciutto, aglio, prezzemolo salvia. 

Procedimento:

  • Con un batticarne battere ogni fettina di carne al fine di assottigliarne lo spessore
  • Insaporire ogni fettina con le spezie secche
  • Con un coltello a cui si sarà riscaldata la lama, fare un battuto di grasso aglio, prezzemolo e salvia
  • Arrotolare la carne nella forma di un involtino e fermare il tutto con uno stecchino di legno.
  • Cuocere in padella, con aglio e rosmarino, e sfumare con del vino bianco. 
  • Continuare la cottura sotto coperchio, finché gli involtini non saranno ben cotti. 

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7 thoughts on “Il breve passo da “mucche pazze” a “tordi matti”

  • Ti aspettavo…
    Ero passata da te questa mattina presto perché sentivo un leggero profumo che invitava, ma probabilmente ancora non era pronto…. Poi appena hai chiamato in tavola sono venuta, ma andavo di fretta (avevo appuntamento col fisioterapista!) e quindi ora, dopo che mi ha smanovrato ben bene eccomi qui, seduta al tavolo e pronta per gustarmi questa meravigliosa prelibatezza qua…
    Nel millenovecentottantasei, nelle Marche, ero per lo più impegnata a entrare a far parte della mia famiglia, passando dal latte materno alle mele grattugiate o alla carne frullata di nonna, ché guai ad utilizzare gli omogeneizzati, dato avevo più o meno un anno (nata nel luglio dell’anno precedente).
    Ora, non pensavo che la povera mucca fosse impazzita già a quel tempo, perché io mi ricordo di un episodio simile anche più avanti, ovvero quando ero abbastanza in grado di intendere e volere…. Però è probabile che fosse una sua antenata.. Sta di fatto che nella mia famiglia il pericolo del ‘vegetarianesimo’ contro pazzia l’avresti sicuramente scampato, dal momento che la carne da me è di ”casa” (ovvero padre alleva mucche da carne e maiali, quindi io sto a posto!) e posso immaginare la fatica che hai fatto nel barattare la festa di compleanno con la fettina….
    Per quanto riguarda il cavallo invece… ho da raccontarti una cosa che risulta abbastanza similare alla vicenda della proprietaria della macelleria Pacifici, ma devo andare un poco a ritroso nel tempo….
    Devi sapere che mia mamma è vissuta per i primi 6-7 anni della sua vita a Milano e, nonostante fossero ”solo” gli anni ’60, era già avantissima (oltre che però già un po’ inquinatella, perché mio zio nato nel ’66 aveva problemi respiratori e quindi per cause di forza maggiore sono dovuti ritornare nelle Marche): mia mamma è andata al nido, alle elementari stava fino le 16 del pomeriggio, andava in piscina, aveva il bagno in casa, giocava con le bambole e le pentoline, andava al mercato, la Domenica andava a trovare degli amici di nonno che abitavano in campagna.. e mangiava la carne di cavallo… Mia mamma ADORA la carne di cavallo…
    Quando si sono dovuti ritrasferire qui nelle Marche, ovviamente è stato come tornare indietro di non so quanti anni…. Mia nonna aprì una pizzeria al taglio che faceva anche da rosticceria e, per cucinare la carne di cavallo andava a comperarla in una ”famosa” macelleria di Pesaro (tieni conto che da dove abito io sono 45-50 minuti buoni di macchina adesso, figurati quella volta), un po’ come la tua macelleria romana… e sapeva cucinarla molto bene… il suo cognato (ovvero il fratello di nonno) odiava la carne di cavallo e sosteneva fermamente che non l’avrebbe mai mangiata perché se ne sarebbe sicuramente accorto… Mia nonna, che invece era strasicura del contrario, un giorno lo ha invitato a pranzo e gliel’ha cucinata spacciandogliela per non so che tipo di carne… Sta di fatto che lui l’ha mangiata tutta, complimentandosi addirittura per la bontà e quando poi ha scoperto che si trattava di cavallo non ci poteva/voleva credere… Ora mi rendo conto che dovrei andare a (ri)cercare la ricetta per poterla poi ripetere… Proverò a chiedere a mamma, dato che nonna, dal posto in cui si trova, ho seri dubbi riesca a farmela recapitare….
    Come vedi anche qui ci son dei tordi ”matti” …
    Per concludere cara la mia Lauretta, voglio prometterti che rifarò presto questa ricetta, non appena trovo della carne di cavallo BUONA, per la mamma che la adora, per la nonna che voleva sempre spuntarla e pure per Carmelo, il povero ignaro del misfatto…..
    Ti abbraccio forte
    Manù.

    • Manu cara,
      ma lo sai che la stessa sorte del povero Carmelo è toccata in sorte a mio padre, che non ama particolarmente la carne di cavallo. E infatti uno dei motivi per cui fu proposta a me negli anni della famosa contestazione generazionale, era perché c’era la speranza di un mio rifiuto la presenza di un comune dna. E invece no.
      Nel mio caso io sono la pecora nera, la mosca bianca, l’eccezione che conferma la regola: e cioè io e i palati di famiglia non sembriamo parenti. Pare che l’intrusione di Osvaldo, mio nonno materno, nel corso del mio svezzamento abbia sortito questo mio cambiamento di rotta dal percorso di ‘gusto’ intrapreso dai miei genitori.
      Ecco perché io mangio la trippa, le salsicce di fegato, il cervello fritto, la lingua e ancora il cavallo, le lepre, il cinghiale e tutto ciò che abitualmente loro neanche annusano.
      Insomma Osvaldo mi ha svezzata perché diventassi una nipote da combattimento, soprattutto a tavola 😀 e io direi che ci è riuscito benissimo!
      Ero certa che davanti il nobile cavallo, non ti saresti tirata indietro e il merito è proprio di quella dritta di tua madre che la sa lunga e io lo sapevo dai tempi della banana spiaggiata! 😀
      Manù bella, che bello leggerti ogni volta!
      Ti mando un abbraccio grandissimo!
      ps. ma perché non siamo state compagne di banco?sai che merende!;-)

      • La lingua… oddio in bianco col vino bianco e la salvia, cotta come un arrosto… che roba bbuonaaaaaaaaaaa!
        santo subito nonno Osvaldo! ooooohh yess..
        ps: già… me lo chiedo anch’io perché non siamo state compagne di banco…
        però possiamo sempre cominciare ad essere compagne di merende ora, no?
        😉
        Baci

  • È che quando passo da te mi perdo tra le righe e partecipo di storie e vicende che sembrano di un romanzo ma sanno di vero, vissuto anche con sacrificio. E mi piace da matti. Grazie.

    • Milena che bello questa mattina trovarti qui 😀
      Quello che scrivi mi riempie di felicità: la direzione più complicata che tento di percorrere quando sono ‘qui dentro’ è proprio quella di fare in modo che non esista un qui, ‘virtuale’, e un lì, ‘reale’. Mi piace fotografare e parlare solo di ciò che mi è assolutamente famigliare, solo di ciò che percorro effettivamente fosse anche la scala fino al sesto piano del mio pianerottolo di casa 😀 E mi piace poter dire che questi non sono spazi virtuali strappati chissà dove, ma spazi e luoghi della mia più accogliente quotidianità. Persone come te, che apprezzano proprio questo sono sempre benvenute!:-D

  • Cresciuto nel paese di mia madre, “patria” del Tordo Matto, sono sempre lieto della sua diffusione… e perplesso sulle variazioni. Cottura alla brace, e non in padella (accettato, ma non codificato, faute de mieux), possibilmente ottenuta dai tralci di vite. Quanto alla leggenda sul nome, beh… il lanzichenecco ubriaco non disse “Drossel (tordo)”, come riportato da wikipedia, ma “Tod” (morto), indicando il suo cavallo esanime e poi la sua pancia. La coppia di anziani coniugi protagonisti, male interpretando l’aggettivo, si affrettò ad imbastire dei… simil – tordi al matto (contraddire un lanzichenecco ubriaco poteva essere un tantino rischioso) per darli al “matto”. Fin qui la leggenda e… mi raccomando, nel battuto va pitartima (timo) oltre a coriandolo, niente salvia o rosmarino. Un cordialissimo buon appetito

    • Massimo grazie mille la storia e l’approfondimento!in realtà io non conoscevo neanche la storia su Wikipedia quindi adesso grazie a lei vanterò solo quella originale. Approfitterò a questo punto a provarli anche sulla brace e le farò sapere, pur certa già dell’ottimo risultato 🙂

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