Milano “dress code e total black”

Smørrebrød

[Post in collaborazione con MCM EMBALLAGES DITRIBUTORE UFFICIALE WECK ]

C’è stato un preciso momento nella mia vita in cui stavo addirittura per imparare l’inglese.

Poi è arrivata mia madre con l’idea, già un po’ retrò, che a 11 anni d’età è meglio studiare bene l’italiano: “Che finché si vive in Italia, prima s’impara l’italiano e quando si andrà in Inghilterra magari pure l’inglese”.

Erano gli anni ottanta e io mi ritrovai nell’unica sezione di francese, non per studiare il francese, ma per conoscere bene bene l’italiano. Che l’italiano, pare, lo insegnasse bene solo il benemerito Prof.re Giacinto Fiorentino tenuto alla salvaguardia dell’unica sezione di francese perché non si estinguesse con un calo di iscrizioni.

“Lo teniamo lì perché cattura le iscrizioni nell’unica sezione in cui altrimenti nessuno andrebbe, signora mia…questo inglese ormai va così di moda” disse la preside a mia madre.

Insomma erano gli anni ottanta: tutti già studiavano l’inglese, a parte me che studiavo francese, per imparare meglio più di chiunque altro, italiano di nascita, l’italiano italiano.

E’ andata così, che se non ci fosse stato quel preciso momento in cui stavo per imparare l’inglese e poi non lo imparai più, forse forse sarei andata a Milano più preparata di come ci sono arrivata io.

Ché anche se Milano è ancora in Italia e non si è spostata oltre la Manica, l’inglese va molto di moda, proprio come diceva la preside a mia madre, e si usa per dire proprio di tutto. Ad esempio, “dress code”.

“Dress code”

“Ma qual è la dress code della award night?” ha chiesto Saghar a pochi giorni dalla partenza per Milano, in occasione della premiazione del Blog Award, indetto dal Cucina Corriere del Corriere della sera.

“Ma cos’è la dress code?” ho risposto io, a domanda con altra domanda.

Ed ecco la rivincita dell’inglese puntuale, meglio di un inglese in persona puntuale ad un appuntamento, che mi stava aspettando forse dagli anni ottanta o, forse, semplicemente al varco. E anzi no, proprio a Milano.

E anche se Milano è ancora in Italia e non si è ancora spostata oltre la Manica, l’inglese va veramente molto di moda, proprio come diceva la preside a mia madre e si usa per dire proprio di tutto di più. Ad esempio, “total black”.

“Total black”

Sono entrata così in un negozio di abbigliamento, alla commessa, manco a farla a posta di Milano, ho detto con formula abbreviata: “Dress code” e quella non solo ha capito subito ma addirittura ha risposto in due parole: “Total black”.

Ecco deve essere un vizio questo inglese che parlano proprio tutti e che proprio tutti hanno studiato mentre io studiavo l’italiano più italiano di un italiano di nascita.

Fortunatamente mi guardo allo specchio e scopro che il lutto mi dona: ecco cosa significa total black.

“Il nero fa tutto da solo” – dice la commessa – “non vuole orpelli… è easy”.

Si vabbè, se lo dice una che ha studiato l’inglese ci devo credere per forza e sperare pure si tratti di qualcosa di positivo, che non ci sono alternative.

Lo dice pure mia madre che negli anni ottanta si fidava di più dell’italiano: “Un abito nero ci vuole, che prima o poi uno ci va a un funerale, se poi è pure ‘easy’ significherà qualcosa di buono, è inglese!”

Ad ogni modo, tutta “total blak”, e non so quanto “easy”, arrivo a Milano per la “dress code” dell’ “award nigh” direttamente nella “greenhouse” del Unicredit Pavilion, dove la o il “pop up dinner” sta per cominciare. Ecco, ci sono anch’io.

Qui tutti sono total black e tutti parlano inglese a partire da Angela Frenda che introduce la serata prima in inglese e poi in italiano. Ecco io sarò pure in total black ma mi sento la più straniera di tutti, anche se sono a Milano che è ancora in Italia e precisamente in Lombardia, non oltre la Manica.

Mi conforta l’idea che col mio inconfondibile italiano sia stata scambiata, addirittura più di una volta, per la meravigliosa Bettys Liu a cui ho rivolto tutti i miei più sinceri complimenti per i suoi scatti, grazie all’aiuto, e soprattutto all’inglese, di Valentina Solfrini.

Ecco, e nel chiudermi nel mio italico silenzio di più non potevo fare e ogni tanto pensavo “…ma se io sono più Betty Liu dell’originale in persona, dove è finita Laura e dov’è il mio gambero preferito che in mezzo a tutto questo total black nessuno vede?”

Decretati i vincitori, finalmente mi rilasso: bevo, mangio e chiacchiero con persone nuove e belle. Mi ritrovo con tutti quelli che non si sentono total black e neanche easy: si parla di cibo e della vita che si vorrebbe nel bel mezzo della vita vera che è fatta di lavoro e sopravvivenza giornaliera. Ad esempio conosco Lucia che mi piace da subito e sono felice sia seduta davanti a me e che mi sorrida quando chiamano la mia categoria.

Lo so che non vincerò e non solo perché le mie concorrenti sono più brave di me ma anche perché saranno i voti, che in inglese si chiamano like, e il numero dei seguaci, che ovviamente si chiamano “follower”, a fare da giudici. Pare sia così.

E allora per quante siano le persone e lettori che non pensavo di avere e che mi hanno spinto fino a qui, so di non poter vincere, lo sapevo già ma ora lo so e basta.  

Torno a casa felice, più di quando sono partita, portando nella testa idee e riflessioni nuove, come quella ad esempio che riguarda il tema stesso dell’evento: ‘il modo di parlare di cibo’ che per me, però, non è ‘food writing’ come si usa tanto dire a riguardo, o forse lo è ma io lo ignoro perché è pur sempre inglese e io ho studiato solo l’italiano.

Food Writing

Fatto sta che quando scrivo, io so bene cos’è che faccio e lo so bene perché me l’ha insegnato il benemerito prof.re Giacinto Fiorentino mentre tutti studiavano l’inglese.

“Si può scrivere e parlare di tutto – diceva – meglio è, però, partire da una cosa infinitamente piccola: un proverbio,  l’odore della lacca per capelli della nonna, come pure ogni singola zanzara da ammazzare per non farsi pungere in estate e una storia più vasta comincerà… fosse anche da una figura geometrica come la superficie rettangolare di uno Smørrebrød.

Smørrebrød

 Smørrebrød

In italiano si direbbe che è un ‘panino aperto’ come pane e pomodoro quando è estate, ma lui invece, lo Smørrebrød, è famoso con questo nome in tutti i paesi scandivi e soprattutto in Danimarca.

Si tratta di uno spuntino a base di pane di segale, panna acida e la farcitura più desiderata a seconda dei gusti, ma certo è che se non fossi andata a Milano e soprattutto se non avessi conosciuto Mimma e Marta non avrei scoperto la cosa più importante: per uno Smørrebrød che si rispetti a base di avocado si rischia di non avere sapore se non si condisce tutto con sale e limone.

Smørrebrød

E allora lo Smørrebrød, nel mio caso, non è solo “food” ma il punto geometrico preciso come la superficie rettangolare di un ‘panino aperto’ da cui partire per raccontare altro, come ad esempio una storia total black e dress code di una Milano, che non avrebbe avuto sapore senza il sale e limone delle persone speciali che ne hanno fatto parte insieme a me.
Smørrebrød

Ricetta Smørrebrød 

Smørrebrød

Ingredienti pane di segale di Emmanuel Hadjiandreou 

  •  150 gr di farina di segale
  • 100 gr di lievito madre (io licoli rinfrescato)
  • 200 ml di acqua fredda
  • 200 gr di farina di segale
  • 1 cucchiaino di sale
  • 200 gr di semi vari (semi di girasole, canapa, nigella, papavero)
  • 150 ml  di acqua bollente
  • uno stampo per plumcake 22 x 11 cm

Procedimento

  • In una ciotola mescolare 150 gr di farina, il lievito madre, e i 200 ml d’acqua fredda fino ad amalgamarli bene.
  • Coprire e far fermentare tutta la notte.
  • Il giorno dopo in un’altra ciotola, mescolare i 200 gr di farina, il sale e i semi. Questi sono gli ingredienti secchi.
  • Versare gli ingredienti secchi su quelli umidi, assicurandosi di coprirli del tutto. Non mescolare.
  • Versare con cura i 150 ml di acqua bollente sugli ingredienti secchi.
  • Mescolare rapidamente con un cucchiaio di legno: l’acqua non deve avere il tempo di reagire con la farina.
  • Trasferire il composto nello stampo
  • Bagnare con un raschiapasta di plastica o un cucchiaio per lisciare la superficie dell’impasto.
  • Coprire e lasciar lievitare per due ore
  • 15′ prima di cuocere il pane, accendere il forno a 240°C.
  • Far scaldare una teglia sul fondo del forno. Riempire una tazza d’acqua e mettere da parte.
  • Quando la lievitazione è terminata, togliere la copertura
  • Mettere il pane nel forno già caldo, versare l’acqua nella teglia e abbassare la temperatura a 220°C.
  • Cuocere il pane per 30′ circa finche non risulterà asciutto e ben dorato.
  • Sfornare lasciar raffreddare su griglia.

Smørrebrød

Droit 140 ml –MCM emballages distributore Weck

Ingredienti per condire fettine di Smørrebrød 

  • pane di segale
  • panna acida qb
  • salmone affumicato
  • avocado qb (condito con sale)
  • ravanelli qb
  • finocchietto selvatico
  • pepe  

Smørrebrød

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22 thoughts on “Milano “dress code e total black”

  • Laura, c’è poco da fare..! Anche se non scrivo da mo di tempo il mio blog e ho sempre meno tempo per seguire tutti i blog più belli sulla rete.. adoro fermarmi per quei 5 min e leggere i tuoi testi, storie favolose, racconti semplici, sinceri e di grande ispirazione. I tuo italiano è così bello, cosi morbido che involge nelle storie da viverle di persona. Accompagnate dalle fotografie sempre piu belle!
    Tra l’altro, sarà il caso magari, ma hai scelto i piattino in cemento, sembrerebbe esattamente lo stesso che ho comprato in un paesino sperduto in un isoloto in mezzo alla Norvegia 🙂 molto scandinavo sarà ☺

    • Gelmina bella non sai che piacere sapere di far parte dei tuoi cinque minuti di pace!:-D Grazie mille!In realtà capita anche a me di latitare più di quanto vorrei sia dal mio gambero che dai blog che più mi ispirano tra cui il tuo che ricordo colorato e bello bello proprio come te. Ma veramente ho poggiato il panino su un piattino che tu hai comperato in Norvegia?Ma allora nella distanza siamo più vicine di quanto pensiamo!Ti abbraccio!

  • Cara Laura, ti ho scoperto attraverso questi ‘awards’ e le tue parole m’arrivano come una ventata d’aria fresca – io che ho perso l’italiano per trovare l’inglese e adesso mi ritrovo un po’ a metà tra l’uno e l’altro. Il premio food writing lo meritavi tu, su questo non c’è alcun dubbio. Per chi ti legge (da poco o tanto) torni comunque vincitrice. Brava.

    • Cara Valeria, ci siamo già dette tutto, ma in ogni caso quello che trovo più impressionante è la tua capacità di ‘capirmi’ pur conoscendomi da poco!Grazie per tutto quello che mi dici che userò come incoraggiamento per continuare a coltivare quello che più amo fare e secondo le mie modalità … che è dagli anni ’80 che ci lavoro! 😀
      Ad ogni modo per te come per tutti i blog in inglese so che riuscirò non solo a leggerti manche a capirti, che è quello che succede in genere con le persone che mi piacciono tanto!E adesso vado a ‘infornare’…tu sai bene cosa!;-)

  • concord con Valeria, tu meritavi di essere presente in ben più di una categoria, perfetta per te quella della fotografia ma ancor di più quella della scrittura.. ed eri meravigliosamente bella ed essenziale nella tua mise..
    visto? ho detto “mise” e non “look”, perché anche io ho studiato francese ma anche inglese e nel pacchetto mi è toccato anche studiare il tedesco, che pure mi piaceva parecchio perché è una lingua geometrica come il tuo pane svedese, ma troppo difficile da mantenere senza un po’ di allenamento..
    che studiare le lingue non è proprio come andare in bicicletta, che una volta che hai imparato anche a distanza di anni basta rimontare sul sellino.. le lingue sono come le piante e come l’amore.. bisogna coltivarle altrimenti, come l’amore e come le piante, smettono di fiorire…

    • Signora mia tu mi hai scortato in un certo senso riposta ‘in borsetta’ 🙂 Grazie!Quanto al total black mi piace tu dica ‘mise’ e mi fa piacere ti sia piaciuta: io sono così fuori allenamento con queste cose… per colpa di pentole e padelle che sono sempre in cima alla lista dei miei desideri 😀
      Ti prometto proverò a far rifiorire il mio francese modì… quanto all’inglese vediamo un po’ cosa si può fare 😉

  • Ma se a me piace moltissimo il tuo italiano! 🙂
    È bellissima la tua finestra sul mondo così com’è, senza contaminazioni di un’altra lingua. Certo, i gusti sono gusti e ognuno sceglie quello che vuole.
    E hai ragione, tu sei premiata dai tuoi lettori e mi sembra che più grande soddisfazione non ci sia.
    Mi piace il tuo modo „rustico” e anche la tua fine ironia, che sui blog in inglese non trovo tanto e non la capisco nemmeno. Ma, forse, sono io che non so dove trovare l’ironia in inglese… perche se è „total black” non la vedo, io, che cerco sempre le sfumature, i colori. 🙂
    E come mangerei volentieri la fetta di pane con quello nome strano, quella fetta che si trova sul tagliere! Preferisco il tagliere, mi sembra così vivo!
    Laura, un grandissimo abbracio da Ulica 🙂

    • Ulica cara, tu mi devi credere che la stessa ironia io la sento quando tu mi scrivi e non hai idea di quanto mi piaccia!io penso che potremmo andare avanti a oltranza io e te con un ‘botta e risposta’ così fitto da fare l’alba! 🙂 Io penso tu riesca non solo a cogliere le sfumature tra i colori ma anche nelle parole, ecco perché mi piace tanto chiacchierare con te!Ricambio il tuo grande abbraccio con uno altrettanto grande! 😀

  • Laura cara,
    I giorni trascorsi insieme al CucinaBlogAward sono ancora troppo vivi nella mia mente! Ripenso ancora alle nostre risa, alla complicità e alla spensieratezza di quei giorni, all’attesa di incontrarvi al mattino per la colazione, alle chiacchiere e a quel tempo che volevo non passasse mai! Non mi capita così frequentemente ma voi due siete così speciali e belli e straordinari!
    Di al tuo Marco che vi aspetterò con note e musica di Alberto Fortis e che da lunedì mattina, visto la pausa forzata causa raffreddore al rientro da Milano, ritornerò ad alzarmi alle 6:30 perché ormai alla nostra età non può essere che così 🙁
    E quando avverrà di incontraci, come ci siamo promessi, vorrò fare colazione con una fetta di questo fantastico pane, avocado e fiumi di limoni e spruzzi di sale 😉
    Ci mancate <3

    • cara Mimma e io ti prometto che per essere a tema con ricordi e sensazioni belle, quando verrete a trovarci vi farò trovare a colazione questo pane avocado, limone e sale manco a dirlo, e tutte le chiacchiere che purtroppo la nostra partenza ha lasciato in piedi 😀 Ad esempio “per chi suona ancora la sveglia?” e soprattutto “chi la paga ancora la sanità?” 😀 mi piace che tra noi ‘eletti’ ci sia ancora chi queste cose le prende ‘ancora’ in considerazione 😀 E a parte questo sembrerà inutile dirlo ancora o forse retorico, ma noi sappiamo che non lo è, Vi nominiamo continuamente come un pezzo di vita che ormai è nostro e vogliamo trovare il modo di coltivare e non perdere più!Vi abbracciamo!

  • Mi hai fatto troppo sorridere!!! Mi hai fatto tornare nei mitici anni ottanta quando il primo giorno di superiori, la professoressa di inglese aprì il registro, gurdò i dieci (e sottolineo dieci) nomi di noi dieci alunne e disse: alla prima di voi che parla durante le mie lezioni, la Palandri (cioè io) va fuori!
    Secondo te quanto inglese ho imparato??
    Complimenti Laura, mi piace molto il tuo stile e a giudicare dalle foto e dal video della serata il tuo outfit era perfetto!
    P.S. ho una figlia diciannovenne da cui sto imparando le basi dell’inglese… outfit è fondamentale, necessario quando entri in un negozio di abbigliamento, così mi ha detto lei!

    • Enrica!outfit è perfetto e imparare a pronunciare questa parola risolve tanto, l’ho imparato nella mia peregrinazione nei negozi di abbigliamento che ormai frequento così di rado… e anzi quando mi capita di frequentarli tra tanto inglese ostentato dalle commesse noto sempre che nel passaggio all’italiano si ostinano a dare del ‘tu’? Mi chiedo sempre se c’è dietro una strategia di vendita alla ‘siamo tutti giovani e in confidenza’ o, peggio, sarà un naturale disuso linguistico dell’italiano? l’uso della cara terza persona singolare, che fine a fatto? Ad ogni modo non hai idea di come mi piaccia poter parlare così con chi mi capisce e ha voglia di ridere con me di tutto ciò per cui valga la pena ridere ‘di gusto’! 😀 Ti abbraccio Enrica!

  • C’è una magia che si manisfesta a volte e si confonde nelle pieghe dell’ordinario e del quotidiano. E’ la magia di chi ama. Così anche quelle che pensiamo come mancanze, si assestano e rivelano il significato del loro non esserci. Una lingua, un premio, un colore che non è il nostro, possono starci accanto senza necessariamente diventare noi, perchè l’amore riesce a dare senso e luce anche a quello che non ci appartiene. E’ una magia, Laura, è la tua vita.

    • Valentina, che posso dirti: la tua amicizia sincera nel tempo e il tuo modo di esserci sempre è la cosa più bella che ho accanto malgrado il tempo e la distanza che ‘provano’ a tenerci lontane 😉 Ti abbraccio forte!

  • Laura cara, avrei voluto esserci io ad aiutarti con il dress code total black, perchè se c’è una cosa che mia madre mi ha insegnato fin da piccola è ad avere nell’armadio sempre qualcosa di elegante, nero, meglio se un tubino semplice, come insegna Coco Chanel. Perchè il nero oltre che essere elegante è “easy”, non sbagli mai. E io l’ho presa talmente in parola che il mio armadio, quando lo apri, è all’apparenza un profondo buco nero da quanti total black contiene. Solo d’estate mi coloro un po’, non solo a livello di abbronzatura ma anche nel vestiario. Ecco apparire sandali colorati e vestiti floreali. Sembra quasi abbia due personalità distinte. E comunque, oltre a un vestito nero elegante, non sottovalutare mai l’importanza degli orecchina di perla!
    Quanto alla serata a Milano dev’essere stato emozionantissimo! Avrei voluto tanto che vincessi, ma penso che sia stata una grande soddisfazione lo stesso. E’ stato un bel pizzicotto per te, che pensi sempre di non essere tanto speciale, ma che invece lo sei eccome, con le foto e con le parole. Food Writing, Storytelling, Food Photography, ecc… te racchiudi tutto con una genuinità che ti rende unica nel tuo genere.

    Un abbraccio…
    ci vediamo presto…sto pensando al periodo migliore per scendere a Roma…ti farò sapere!

    • Fra e io lo sapevo che tu saresti stata risolutiva 😉 La prox volta ti chiamo e tu mi guidi oppure passo direttamente da te e faccio un giro nel tuo armadio!:-D Quanto alla serata milanese, si è stato tutto molto emozionante: mentre ero seduta a tavola tra luci soffuse e portate meravigliose mi è capitato spesso di pensare a dove mi avesse portata quel timido gambero e di essere orgogliosa di lui. Mi piace il tuo pizzicotto che allontana la mia insicurezza che arriva anche quando è fuori luogo, ora non resta che vedersi perchè ho tante tante cosa da raccontarti, lo sai che ti stiamo aspettando?Sbrigati forza, ti vogliamo qui!

  • Io credo che se tu fossi stata con me le “mie prime volte” dal dottore qui a Montreal avresti dimenticato immediatamente il dress code, il total black e la pop-up dinner… ho detto delle cose che voi umani…. e poi cmq diciamoci la verità, il francese ha un fascino tutto suo, cosi sensuale che ti saresti potuta presentare alla cena vestita di giallo. Sappi però che nella foto che ho visto su fb eri eri veramente bellissima.
    Ps questo tuo pane, soprattutto in versione guarnita e colorata, mi pice da morire…. sarà un caso che si parli di disinvoltura delle lingue che mettono il mondo in connessione, ma io avrei delle difficoltà a chiamarlo. Per me rimarrà il pane danese, mica ti dispiace?!?!

    • Concordo pienamente: il francese ha il suo fascino ineguagliabile e non ti nascondo che se qualcuno avesse lo avesse parlato almeno un po’ io me lo sarei giocato volentieri per darmi un tono, una faccia… insomma un aplomb!;-)
      Sono felice ti piaccia questo pane, anzi questo ‘panino aperto’ assolutamente ‘danese’ come si dice in italiano 😀 Ormai sento di conoscerti bene, signora mia, e ho capito che potremmo tranquillamente cucinare l’una per l’altra! Ti abbraccio forte cara Margherita!

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