Di tanta storia che non ho fatto in tempo a vivere, conosco i nomi di tutte quelle persone che l’hanno affollata prima di me, anche se il balcone in cui ci si stringeva numerosi uno accanto all’atro non era di cemento armato.

Di tanta storia che non ho fatto in tempo a vivere, conosco i nomi di tutte quelle persone che l’hanno affollata prima di me, anche se il balcone in cui ci si stringeva numerosi uno accanto all’atro non era di cemento armato.
Il mio nuovo amico farmacista dice che tutto questo gluten free non mi salverà dalla scomunica di quell’Abruzzo “arrosticini e panonta” che mi ha svezzata. “Dottore correrò questo rischio!” Gli ho risposto l’ultima volta, dopo un esagerato ordine di psyllium.
Un minestrone è ‘solo’ un minestrone a meno che non si sia così sentimentali sull’argomento da cominciare a dedicarvisi con il dovuto anticipo. E’ una questione di puntualità: io, ad esempio, a giugno ho piantato tre zucche.
“Mangiamo mele, soprattutto perché ci cascano in testa”. – Ha detto un giorno mio marito col piglio scientifico di chi quasi quasi si arrende ad un principio di gravità.
“Non avrei mai creso che la mia sputazza cogliesse sulla piattaforma del vostro mogadiscio.” Lui era Stefano “Lu ciavàje”, un vetturino che sostava davanti la stazione. Era balbuziente e mangiava i gatti.
Di questi tempi tutti dicono a tutti di tutto: tutto quello che si deve fare, tutto quello che non si deve fare. E per tutto il tempo la tuttologia di chiunque è ovunque, meno che in casa mia perché in casa mia ci sono io e basta.
Cinque minuti alle tre del pomeriggio di uno degli ultimi giorni dell’anno, ho scattato una foto alla luce perpendicolare sulla Torre dell’orologio di Todi. In quel momento non pensavo a cosa sarebbe accaduto cinque minuti più tardi semplicemente perché lo ignoravo. Qualche certezza del nuovo anno, invece, c’era già:
C’è stato un particolare momento questa estate in cui, a chi per caso o per cortesia mi chiedeva: “Come va?” Io rispondevo: “Macino farine!” Con dolcezza mio marito ha tentato di farmi prendere in considerazione la possibilità di rispondere come conviene “Semplicemente ‘bene’, va bene no?”
“Non me la fai una cotognata?” Eccolo il potere di una domanda che si innesta su una negazione: chiede esattamente il suo contrario! Ormai ne sono certa: la grammatica ha sempre delle intenzioni specifiche, come le domande di mio marito. Ad esempio una cotognata. Ma io amo mio marito.
Il primo post di settembre è come quello del primo dell’anno. Ci devono stare dentro i nuovi propositi, le nuove aspirazioni e i nuovi progetti, purché tutto sia reso noto con una discreta ansia di prestazione e una certa titubanza che fa sempre molto modesti e scaramantici pure.
Due anime si contendono la mia estate: una si bea di un’eccezionale casalinghitudine a oltranza, l’altra di una competizione canora tra me e Rita Pavone. Cantiamo, tutto il tempo, ‘Fortissimo’ e ovviamente anche il vicino ci sente, pur ignorando l’identità dei destinatari di questa sottil tenzone. E comunque, nel mio caso, non si tratta di […]
La poesia di questi tempi è possibilmente post(abile) o possibilmente no. In ogni caso possibile, o impossibile, io me la posto e riposto più o meno così: per lo più personalmente.
Questo fine settimana la “signora del sapone” non ha fatto il sapone perché da Michele, il macellaio, è arrivata prima la sottoscritta: la “signora dello strutto”.
Così davanti al bancone di salumi e formaggi mi capita ogni tanto di sentirmi una moglie devota e all’ultimo momento chiedo sempre: “Due etti di coppa… per mio marito”.
Di quello che vivo in questo periodo, potrei dire ad esempio dei ricorrenti giorni di mele: di quelle mangiate a morsi, con la buccia e strofinate sulla manica del maglione, solo per lucidare al meglio lo schiocco del primo boccone.